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Le abbazie del Piave "Santa Maria di Lovadina"

Le abbazzie del Piave - Santa Maria di Lovadina

Presentazione

Purtroppo per gli studiosi (letterati e storici locali) non c’è considerazione da parte dei politici e delle istituzioni (se non collegati alla partitocrazia). Quindi i Veneti sono destinati al soffocamento, anziché valorizzati come sarebbe giusto. Se è concesso ricercare il motivo della carenza culturale lamentata, penso al critico rapporto che in Veneto esiste tra società e territorio, puntualmente registrato dal sociologo Ilvo Diamanti. Quale imprenditore ritengo che al nostro sviluppo potrebbe venire a mancare in futuro il sostegno della società veneta già interessata da crisi di rigetto. I Veneti (già declassati a “nordestini”, poiché il loro antico e storico nome disturba certi orientamenti) devono ritrovare la loro identità e coesione. La cultura è l’unico catalizzatore per la manutenzione della nostra dignità. In caso contrario anche il nostro modello industriale si dovrà sviluppare altrove. Gli esportatori, scrive Sergio Romano, trovano già nei Balcani ditte slovene spinte dalla identità culturale della piccola Austria slava. In Veneto sembrano benvenuti incontri su Silvio Pellico e Ugo Foscolo.

I meriti letterari del primo sono difficili da rintracciare nelle sue opere; il valore del secondo consisterebbe in dodici sonetti e un’ode. Ma essi avevano le carte in regola con la politica, a differenza di alcuni Veneti come è stato autorevolmente sostenuto. Comprendiamo, ma come si possono comprendere sistemi ormai mondiali, se non si conoscono i propri valori? Il pericolo più evidente comunque resta il continuo depauperamento del nostro patrimonio artistico ed archeologico. Non solo l’Abbazia di Lovadina è sparita, ma mese dopo mese spariscono documenti, decine e decine di reperti preziosi di bronzo di epoca antica, come spade, asce, panni, falcetti, ecc., raccolti nel greto dei fiumi e oggetto di un fiorente mercato abusivo. Tombe e reperti di epoca antica vengono recuperati e distrutti da persone senza scrupoli lungo il tracciato di antiche strade. Ancora opere d’arte come quadri, statue, bassorilievi, mobili ed altri oggetti vengono asportati dalle nostre ville e chiese e spariscono per sempre. Sarebbe auspicabile che gli Assessorati competenti ripristinino le iniziative della Serenissima Repubblica di San Marco. È ovvio che la cultura costa, ma è altrettanto certo che l’ignoranza è ancora più cara.

Diotisalvi Perin


Prefazione

Questo lavoro è il sunto di tutte le ricerche che sono state fatte da me e dagli amici del Gruppo Archeologico del Montello nel corso di vent’anni di ricerche e studi sull’Abbazia di Lovadina. Nel 1994 con il parroco di Lovadina Don Rodolfo, si stabiliva di creare una collaborazione per riesumare dall’oblio le vicende millenarie di quella storica Abbazia. Fu prodotto allora un opuscolo dal titolo “L’Abbazia di Lovadina nelle immagini del ’600”. In quel tempo dall’archivio di Stato di Treviso erano state riesumate nel fascicolo 1650 S.M.degli Angeli di Murano B.3, delle inedite mappe dei beni nella Sinistra Piave della Abbazia; queste furono la causa e l’inizio delle nostre ricerche. Un anno dopo, 7 Dicembre 1995, il GAM, in collaborazione con la parrocchia di Lovadina, con il Comune di Spresiano, la Biblioteca e la Cassamarca, produceva un opuscolo dal titolo “1797-1856 - Gli Ultimi Giorni della abbazia di Santa Maria del Piave”. Già allora si pensava di portare le nostre conoscenze e le nostre scoperte in giro tra le decine di paesi che anticamente dipendevano da quel monastero, sia sulla Destra che sulla Sinistra Piave. Lo facemmo a Povegliano nel 1994, a Mareno nel 1996, a Treviso nel 1997, a Volpago nel 1998, a Cusignana nel 2002 e ultimamente a Mareno di Piave nel 2005. Tutto questo perché siamo consapevoli dell’importanza storica di questo Ospitale- Monastero; la sua azione di sviluppo dei paesi e del territorio della Marca Trevigiana è stata progressiva dal X al XX secolo, basterebbe accennare ai pittori erranti che affrescavano le chiese dell’Abbazia con l’ultima cena fatta di raboso e gamberi, oppure allo sviluppo dell’agricoltura, alla bonifica dei terreni paludosi o recuperati abbattendo boschi e foreste. C’è pure un problema politico: Lovadina riuscì, in qualche modo, a ridare dignità e carattere alle comunità che aveva visto nascere e che le appartenevano col preservarle dalle angherie e soprusi dei vari signorotti della zona: Collalto, Caminesi, prelati e signori veneziani. Abbiamo constatato, durante le nostre ricerche, la differenza tra l’immobilismo culturale delle chiese soggette all’Abbazia di Nervesa e quelle di Lovadina; le prime povere sia dal punto di vista economico che artistico, le altre ricche per una amministrazione oculata che produceva un rinnovamento artistico continuo; sono anche tre gli strati di affreschi, ritrovati sotto le calcine delle chiese. Noi in quest’opera abbiamo solo scalfito lo strato storico; pensate quanto c’è ancora da lavorare, per chi ne avesse la voglia. Speriamo che le istituzioni siano di guida a quelle persone ed associazioni che dovessero dopo di noi continuare ad approfondire gli studi su Lovadina e la sua Abbazia. È strano come le vicende storiche abbiano fatto sì che di Santa Maria del Piave non rimanesse praticamente niente. Noi avevamo proposto al comune di Spresiano di scavare le fondamenta dell’antico monastero e di farne un’attrazione turistica e culturale; avevamo sollecitato a mantenere quel paese integro nella sua architettura settecentesca; non siamo stati ascoltati; infatti a Lovadina ora c’è un grande centro di stoccaggio dei rifiuti, con tutte le conseguenze che questo comporta; a Lovadina ci sono enormi cave di ghiaia che hanno trasformato il territorio in oscene visuali lunari; ci sono capannoni e condomini, strade nuove, rotonde e autostrade. Abbiamo voluto raccontare le poche cose a noi note su Santa Maria del Piave; possano queste notizie far emergere dalle bianche ghiaie del Piave l’antica e perduta Abbazia con la sua cultura, con la sua generosità per gli erranti della vita.

Tarcisio Zanchetta

 


Origini

In tutta quell’area che va dal Montello a Maserada ed oltre, sia per le comunità della sponda destra che per quelle della sponda sinistra del Piave, le vicende storiche sono state condizionate dal fiume stesso. In effetti, in epoca preromana, il fiume doveva essere parecchio trafficato anche dai fonditori di bronzo; a Vidor, a Santa Croce del Montello, a Colfosco, a Nervesa ed in fine anche a Lovadina sono stati rinvenuti, spade, asce, falcetti, panieri di bronzo databili dal XV al XI sec. a.C1. Di questi villaggi costruiti su rialzi naturali o artificiali detti castellieri, di cui sono rimasti alcuni toponimi, vedi a Maserada con la via del castellar e Lovadina con la borgata Castelli, a San Polo e Tezze con le Muttere, non è rimasto niente: spazzati via dal divagare del fiume. Altro retaggio antico è forse il toponimo del paese di difficile interpretazione forse indicante qualche cosa che ha da vedere con l’acqua.

Carta del Piave da Nervesa a Noventa del 1532, A.S.VE. La situazione del ramo di Lovadina, forse il più antico. Quello che anticamente avrà bagnato, deviando verso Sud, Treviso in epoca romana.

LA VIA POSTUMIA E LA VIA CLAUDIA AUGUSTA

La antica via Postumia, che conduceva con bel rettifilo dal Brenta al Piave ad Oderzo, fu costruita nel 148 a.C., probabilmente su antico tracciato di una strada paleoveneta2. Il tratto della via nell’attraversamento del Piave da Maserada a Roncadelle non subisce nessuna deviazione per affrontare il fiume, anzi lo passa come se il Piave non esistesse. È verosimile che il fiume nel secondo secolo a.C. assumesse un percorso spostato tutto verso Opitergium, forse nell’odierno Piavon3. E allo stesso tempo un suo ramo seguisse una linea verso Treviso4, quindi non doveva esistere a Maserada nessun guado sul fiume, o in alternativa la strada passava indisturbata sulle sassaie dell’antico ed inattivo letto del Piave. Se controlliamo le centuriazioni, supposte o veritiere, tra Opitergium e Treviso, o il confine tra i territori dei due municipi, possiamo individuare una certa linea determinata dal percorso dell’antico Piave, almeno nel I sec. d.C5. Un’altra strada che interessa Lovadina è la Via Claudia Augusta Altinate che, partendo dalla città lagunare, andava con un rettifilo sino al Piave; il De Bon ha studiato la strada da Altino al Ponte della Priula6. Lovadina si trova sull’asse della strada, secondo alcune testimonianze 7, ad un metro di profondità vicino al campanile della chiesa attuale, sono state rinvenute delle grosse fondamenta o massicciata di una strada larga 6 metri. Altri reperti sono stati trovati in località Callegari sul fondo Adami. La stessa piazza di Lovadina potrebbe essere la base della grande strada romana, infatti l’orientamento è identico; qui potrebbe essere stata dislocata una costruzione militare della grande arteria, da cui avrebbe preso inizio la nascita del paese.

A sinistra: Lovadina in una mappa del 1680 A.S.TV.

A destra: La via Claudia Augusta da Lovadina al Piave.

 

 




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